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Art0072
28-ottobre-2025
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Al raduno di Roma non eravamo sol3

Ci si ritrova per capire se si è pazzɜ o profetɜ. Si parte da solɜ, da città diverse, un po’ timidɜ, con quel groppo di speranza e angoscia stretto in gola. È l’energia di radunare ciò che è sparso.


E poi, all’improvviso, non sei più solǝ.

Le idee, qui, hanno il tremore delle voci e il calore degli sguardi: ascoltare qualcunx descrivere la propria vita come «una mano che soffoca il collo», o confessare l’ossessiva ricerca di «una luce in fondo al tunnel»… e in quelle parole ritrovare la traccia della tua stessa stanchezza. È stato questo il cuore del raduno: commuoverci insieme, non come vittime, ma come testimoni dello stesso sistema irrespirabile, unite nello stesso desiderio di un mondo diverso.

In quel riconoscimento, la sofferenza smette di essere un’isola. Diventa un ponte. È la stessa depressione strisciante di Mark Fisher, la stessa tortura degli animali incarcerati negli allevamenti, lo stesso genocidio a Gaza, la stessa ansia di esistenze consumate a lavorare dalla mattina alla sera, una società dove se non sei in grado di pagare vieni lasciato morire. È il soffio condiviso di un dolore che non è più solo mio, ma nostro. E in quel ‘nostro’ scopri la verità più dirompente: che non sei pazzǝ a pensarla così, non sei solǝ.

Come ha detto Paolo di Inventare il Futuro, forse l’accelerazionismo è qualcosa di più di una teoria. Forse è la profondità misteriosa delle conversazioni fatte a occhi chiusi dopo aver spezzato il pane con chi non avevi mai incontrato, e sentirti a casa. Forse è la follia di ritrovarci in un rituale esoterico ad ascoltare le utopie di chi hai appena conosciuto, eppure senti di conoscere da sempre. È la stessa, identica, ricerca di una vita più lenta, più ricca, più di cura. Più cute. Insieme.

Sabato pomeriggio, mentre fuori un diluvio applaudiva sul tetto, noi eravamo sedutɜ per terra come bambinɜ. Giocavamo a un laboratorio per liberare l’immaginazione, e ridevamo. Ecco che strana militanza: desiderio, gioco, libidine condivisa, iperstizione. Il piacere di esprimere le nostre eresie radicali, senza giudizio.

Potrà sembrare che stiamo facendo per finta quando, con una penna in mano, annunciamo a squarciagola di aver già preso il potere e di dover fondare i “ministeri iperstizionali”. Eppure, è proprio giocando che partoriamo le idee più dirompenti: come modificare l’articolo 1 della Costituzione, affinché l’Italia sia una repubblica fondata sulla cura, non sul lavoro.

Anche leggere i “tarocchi accelerazionisti”, domenica, era un gioco. Ma era soprattutto un rituale. È lì, nella riscoperta collettiva del sacro, che una comunità si riconosce e prende coscienza: un mondo nuovo non solo è possibile, ci sta già aspettando.

È un mondo abbondante quello che ci pulsa nel cuore. È un lusso tutto particolare, dove non ci saranno più corpi lasciati ai margini, vite spezzate dalla depressione o campi di concentramento. È il mondo che pretendiamo: senza gerarchie, senza scarsità, senza prezzo.

Una gratuità comune nella cura. È questo il mondo che vogliamo. E dopo questo fine settimana, sappiamo di non essere più lɜ solɜ a crederci. Siamo in tantissimɜ, sparsɜ ovunque, a soffrire per questo presente e a sognare la stessa liberazione. Perché quando un'idea è condivisa da milioni di persone, cessa di essere un'utopia. E diventa progetto politico.

PS: per i prossimi appuntamenti accels abbiamo messo in piedi un calendario.
 

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