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28-agosto-2020
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Breve introduzione al concetto (accelerazionista) di folk politics

Tra gli elementi distintivi del pensiero accelerazionista vi è l’atteggiamento di critica nei confronti della sinistra contemporanea, accusata di essere strutturalmente inefficace nel contrastare il dominio del capitalismo neoliberale. Tale posizione prende origine all’interno dei dibattiti dei primi accelerazionisti negli anni ’90 e si sviluppa fino ad arrivare alla sua piena esposizione nell’opera Inventare il futuro: per un mondo senza lavoro di Alex Williams e Nick Srnicek. Tale critica viene sintetizzata nel concetto di “folk politics”, espressione con cui gli accelerazionisti identificano l’insieme delle strategie politiche messe in campo, senza successo, dalla sinistra contemporanea.


Definizione: che cos’è la folk politics?

Secondo Williams e Srnicek, «la folk politics è un insieme di presupposti strategici, di idee e di intuizioni che guidano il senso comune della sinistra contemporanea determinandone azione, organizzazione e pensiero politico». In altre parole, con folk politics si intende l’approccio strategico che la sinistra contemporanea assume nella lotta politica. Tale approccio è definito folk nel senso che si ferma al locale e all’immediato, cioè agisce in maniera miope, non lungimirante e non strutturale. In quanto tale, questo atteggiamento si dimostra profondamente inefficace poichè risulta disconnesso dalla natura complessa dei meccanismi di potere del capitalismo neoliberale.

Per riuscire a comunicare il concetto, Williams e Snricek si richiamano anzitutto all’esperienza diretta delle marce sociali a cui molti cittadini partecipano, laddove l’enfasi è posta più sulla soddisfazione di aver fatto qualcosa, o anche solo del poter dire di esserci stati, piuttosto che di essere veramente riusciti a conquistare un risultato concreto. In altre delle sue forme la folk politics viene richiamata come quell’incapacità di trasformare le proprie richieste, spesso generiche o poco definibili, in obiettivi sostanziali e tangibili.

Questa critica accelerazionista non ha l’obiettivo pratico di arrivare a proporre azioni che siano in grado, meglio di altre, di ottenere risultati concreti, quanto piuttosto punta a interrogarsi sulle ragioni strutturali che definiscono l’approccio strategico contemporaneo della sinistra: agli accelerazionisti, insomma, interessa capire come sia possibile che storicamente anche le azioni che sembravano essere a un passo dal mettere in ginocchio il capitalismo, alla fine non siano riuscite ad apportare alcun cambiamento radicale. Tale analisi mette in campo il pensiero gramsciano - e in particolare il concetto di egemonia - all’interno di un panorama teoretico che attinge molto dalle teorie dei sistemi complessi.

Scendendo nel dettaglio, il concetto di folk politics si sviluppa a partire dalla considerazione secondo la quale le tradizionali tattiche politiche (scioperi, occupazioni, sindacati, petizioni, ecc…) appaiono molto più inefficaci oggi rispetto a qualche decennio fa, quando esse riuscivano a convertire davvero il potere della collettività in risultati di emancipazione e progresso. Il motivo per cui tali tattiche oggi non funzionino più come un tempo non è riconducibile alla natura delle tattiche in sè, quanto al sistema nel quale esse si inseriscono: secondo gli accelerazionisti il sistema in cui viviamo oggi è profondamente molto più complesso rispetto al passato. Dal punto di vista economico, sociale, politico e soprattutto tecnologico, il sistema tardo capitalista contemporaneo appare più complesso poichè a entrare in gioco sono logiche non lineari.

Un esempio di sistema complesso, richiamato da Williams e Srnicek, è l’economia. In termini elementari, essendo ridistribuita nel tempo e nello spazio, l’economia non può essere oggetto di percezione diretta: nessuno incontrerà mai l’Economia in persona. In altre parole, l’economia è - per sua natura - un sistema complesso. Per comprenderla, e soprattutto per poter agire su di essa è necessaria una mappa cognitiva che permetta di interpretarla quanto meglio possibile. Ma per quanto ci si sforzi non è possibile coglierla nella sua interezza, per questo si dice che l’economia può essere osservata solo in maniera asintotica.

Ebbene, quello che è successo tra ieri e oggi è che il sistema economico si è trasformato in maniera talmente veloce e articolata da non avere più a disposizione una mappa cognitiva per comprendere il funzionamento dell’economia. La globalizzazione, il progresso tecnologico, la crisi ecologica, la rivoluzione dei mezzi di comunicazione, lo spostamento del capitalismo su logiche cognitive, la flessibilizzazione del lavoro, la crescente automazione dei processi produttivi: tutti questi elementi hanno aumentato vertiginosamente il livello di complessità del sistema economico. Di fronte a questa nuova condizione di complessità, tutte le proposte e le azioni politiche tradizionali che un tempo risultavano efficaci, oggi finiscono per apparire troppo semplicistiche, appunto folk.

L’idea di riproporre il modello socialdemocratico, per esempio, con la sua tradizionale visione lavorista che persegue il mito della piena occupazione, la stabilità del posto fisso e il mito della crescita perpetua, non solo è oggi ormai di quasi impossibile applicazione, ma soprattutto è quanto meno desiderabile per buona parte della popolazione. Ancor più questo discorso vale per le tradizionali azioni politiche della sinistra (come ad esempio scioperi e occupazioni): mentre esse ben si adattavano alle logiche del capitalismo industriale degli anni ’70, dove la produzione avveniva su un piano fisico/materiale, gli operai lavoravano a stretto contatto l’uno accanto all’altro e il padrone era una figura facilmente identificabile, oggi il discorso è completamente diverso. Nel tardo capitalismo neoliberale la produzione è diventata immateriale, i lavoratori svolgono le proprie mansioni sempre più individualmente (come freelance) e il Capitale appare privo di centro e distribuito su una scala geografica globale. In più - come spesso richiamato negli scritti di Mark Fisher - la classe dei proletari contemporanei risulta oggi afflitta da gravi malattie depressive di massa, all’interno di un tessuto comunitario interiormente disgregato, fortemente individualista e molto scettico verso le meta-narrazioni di carattere utopico.

Con queste tesi gli accelerazionisti non vogliono asserire che azioni come scioperi e occupazioni siano oggi intrinsecamente inefficaci, quanto piuttosto che debbano essere riformattate per essere in grado di funzionare all’interno di un sistema che oggi si presenta molto più complesso rispetto al passato.


Un esempio per capire: Occupy Wall Street

All’interno di Inventare il futuro gli autori ricorrono a diversi esempi al fine di illustrare le caratteristiche della folk politics. Uno di questi è Occupy Wall Street, uno dei più significativi movimenti di piazza mai realizzati su scala globale. Nato in America come movimento di protesta contro le disuguaglianze economiche e sociali, questa organizzazione internazionale ha portato solo nel corso del 2011 a occupazioni di piazze e spazi pubblici in più di 950 città in tutto il mondo. Quale straordinario esempio di mobilitazione anticapitalista globale, è stato capace di raccogliere sotto l’ombrello della propria sigla un enorme pluralismo di realtà.

Occupy Wall Street per diversi istanti ha veramente fatto sospettare che il sistema capitalista fosse a un passo dall’essere messo in ginocchio. Eppure, trascorso il tempo necessario, la mobilitazione si è presto spenta, permettendo così al neoliberismo di aprirsi a una nuova fase 2.0 di crescenti privatizzazioni e smantellamento del Welfare State. Per capire come ciò sia stato possibile, Williams e Srnicek analizzano in maniera minuziosa le caratteristiche di questo movimento e alla fine dimostrano che gli elementi che hanno strozzato il successo di questa organizzazione sono riconducibili alla natura folk della sua pianificazione strategica.

L’analisi si sviluppa a partire dai punti di forza del movimento: gli autori accelerazionisti mostrano come Occupy presentasse molte caratteristiche strategicamente rilevanti. La composizione variegata interna ne garantiva una flessibilità indispensabile per potersi adattare ai diversi contesti di lotta, mentre la radicalità di molti dei suoi atteggiamenti ne dimostrava risolutezza ed efficacia nell’azione. Il sistema di formazione messo in piedi per tenere costantemente preparati i suoi militanti, inoltre, ne confermava una lungimiranza strategica per nulla indifferente. Accanto a queste caratteristiche, le diverse attività di Occupy a sostegno degli emarginati (specialmente i senzatetto) ebbero l’effetto di influenzare l’emotività popolare e di rinforzare il senso di solidarietà sociale, rinsaldando in questo modo i legami tra la società civile e gli attivisti. Infine, e si tratta forse dell’elemento strategico più importante fra tutti, fu l’ampia risonanza mediatica che ebbe Occupy nel mondo a permettere di mantenere sempre alta l’attenzione da parte di pubblico e governi.

Considerando queste premesse promettenti, come è potuto succedere che tutto si sgretolasse? Cosa è andato storto? Secondo gli accelerazionisti, i successi ottenuti dai militanti di Occupy non sono stati utilizzati per universalizzare la lotta. Non sono riusciti, in altre parole, a catalizzare i successi immediati verso un percorso di costruzione di un progetto contro-egemonico anticapitalista su scala globale. Gli errori che sono stati compiuti sono più propriamente da considerarsi come degli atteggiamenti folk. Sintetizzando il pensiero di Williams e Srnicek, è possibile raggruppare le scelte strategiche di Occupy nei seguenti 3 punti:

  1. Il rifiuto di un’organizzazione verticale: gli attivisti di Occupy hanno fin da subito scelto di non dotarsi di una struttura gerarchica. Come spesso accade nei movimenti che partono dal basso è stato intrapreso un percorso di politica orizzontale, che rifiuta figure come leader, consigli esecutivi o organi simili. Il risultato è stata una paralisi decisionale che ha impedito a Occupy sia di difendersi con maggiore efficacia dagli attacchi dei governi sia, più in generale, di creare un’infrastruttura utile per pianificare i passi successivi. In particolare, l’assenza di un’organizzazione verticalizzata ha impedito la creazione di “ponti” con altri gruppi alleati (come sindacati o partiti), favorendo così il proprio isolamento e dunque il proprio insuccesso.
     
  2. Un’eccessiva predilezione per la democrazia diretta: con questa asserzione gli autori non intendono offrire una critica al modello di democrazia diretta, quanto piuttosto comprendere in quali esatte forme essa si possa rivelare realmente efficace rispetto agli obiettivi preposti. Nella realtà dei fatti, Occupy (come molti movimenti sorti dal basso) ha prediletto un sistema deliberativo fortemente orizzontale nel quale ogni decisione veniva affrontata, discussa e approvata sempre attraverso lo strumento dell’assemblea generale. Il risultato è stato un eccessivo sforzo di partecipazione da parte di tutti, tale da aver portato spesso a rivendicazioni traducibili in slogan generici e basilari (al fine di raccogliere il consenso di tutta l’assemblea) piuttosto che a risultati risoluti, pragmatici e tangibili. Spesso poi il ricorso a assemblee generali ha portato all’abbandono della partecipazione da parte di molti per stanchezza o per noia.
     
  3. Un’eccessiva enfasi verso l’azione diretta: un contesto in cui gli attivisti di Occupy seppero distinguersi con coraggio fu senz’altro la risolutezza nelle azioni dirette. Le piazze e gli spazi pubblici furono occupati con determinazione e successo, dimostrando di fatto che l’azione diretta rappresenta il primo e più importante passo per qualsiasi rivolgimento sociale. Del resto l’azione diretta ha anche l’effetto di infondere fiducia in tutti coloro che nutrono speranza nella lotta. Quello che tuttavia si riscontrò fu l’effetto localizzato e temporaneo di queste azioni. In altre parole, gli attivisti non hanno considerato che per sua natura un’azione diretta non potrà mai da sola vincere contro un’astrazione (il capitalismo neoliberale). Era necessario andare oltre, cioè sfruttare il successo di queste azioni dirette per pianificare strategicamente ulteriori passaggi in avanti.


Se da una parte Occupy è riuscito temporaneamente a mettere in crisi la legittimazione verso l’attuale sistema neoliberale, dall’altro gli accelerazionisti ammettono che non sia di fatto riuscito ad arrestarlo. Come affermano Wiliams e Srnicek, alla fine i militanti «sono rimasti un piccolo arcipelago di isole prefigurative circondato da un oceano capitalista tanto implacabile quanto ostile». La politica che hanno scelto di perseguire è riconducibile alla terminologia folk poichè, concentrandosi sull’immediatezza delle loro azioni, non sono stati in grado di tradurre questi successi parziali verso un percorso di stampo ideologico, astratto, organizzato e lungimirante, necessario per fronteggiare un nemico - il Capitale - che appunto si muove su livelli di complessità estremamente più elevati.

Le caratteristiche della folk politics: ritualismo, resistenza e immediatezza


Per riconoscere la folk politics nelle varie esperienze di organizzazione politica, Williams e Srnicek identificano alcune variabili ricorrenti. Qui di seguito se ne elencano 3 di particolare centralità:

  1. Il carattere ritualistico dell’azione politica: per ritualismo si intende l’enfasi posta sull’aspetto emotivo della partecipazione (come per esempio la soddisfazione di aver partecipato) piuttosto che sull’ottenimento di risultati concreti. In questo senso le manifestazioni vengono concepite come un momento di aggregazione emotiva, uno spazio locale all’interno del quale ci si chiude al fine di esprimere il proprio attaccamento emotivo nei confronti della Causa, ma senza nessuna reale proiezione verso il raggiungimento di un obiettivo concreto. Si partecipa insomma con lo stesso atteggiamento con cui si può prendere parte a un rituale, per il quale tuttavia non si nutre una fiducia radicale né si è disposti a mettere in gioco la propria integrità o a compiere sacrifici. Il movimento di piazza delle Sardine, partito a Bologna verso la fine del 2019 e diffusosi velocemente nelle varie città italiane, rappresenta un chiaro esempio di folk politics in questo senso.
     
  2. La protesta come resistenza: si intende qui la visione secondo cui le proteste risultano essere il prodotto di una reazione a una minaccia del sistema (come quando si organizza una manifestazione anti-fascista), piuttosto che essere concepite come un atto propositivo finalizzato ad un miglioramento del sistema (come potrebbe essere una manifestazione per la riduzione universale delle ore di lavoro). Poichè la lotta si configura come un meccanismo di sopravvivenza, orientato cioè a resistere contro gli attacchi del Capitale, le azioni sono sempre temporalmente localizzate nel momento in cui si subisce l’offensiva. Nella folk politics non capita, in altre parole, che sia la sinistra a sferrare il primo attacco - a costruire cioè la narrazione antagonista - ma essa sempre risponde a ciò che proviene dall’esterno. L’esperienza dei Gilet Gialli, vera e propria reazione agli attacchi neoliberali del presidente francese Macron verso la fine degli anni ’10 - sono un chiaro esempio di folk politics in questo senso.
     
  3. L’immediatezza: di primaria importanza è infine la caratteristica dell’immediatezza, che secondo gli autori accelerazionisti è la vera e propria dimensione di azione della sinistra contemporanea. Essa viene scomposta nelle 3 forme di immediatezza: spaziale, temporale e concettuale. Tra tutte è però l’immediatezza concettuale quella che predetermina le difficoltà nel raggiungimento di successi concreti. Praticare una lotta concettualmente immediata significa «preferire il quotidiano rispetto allo strutturale, il sentire contro il pensare, il particolare contro l’universale, l’etico contro il politico». Detto in altri termini, si intende la «rinuncia in partenza a qualsiasi forma di mediazione concettuale, o persino al più modesto grado di complessità». L’immediatezza concettuale è in pratica l’incapacità di costruire un’alternativa astratta, complessa e possibile al capitalismo neoliberale. Significa non essere in grado di dare forma ad una contro-proposta ideologica universale che - data la natura astratta e universale del Capitale stesso - risulta necessaria per poter conseguire risultati concreti. L’immediatezza concettuale è, in questo senso, figlia diretta di quel Realismo Capitalista che, secondo l’accelerazionista Mark Fisher, strozza e sussume qualsiasi tentativo di costruzione di un’immaginario alternativo al capitalismo.

La folk politics non è sbagliata

L’analisi di Williams e Srnicek termina con una precisione di fondamentale importanza: la folk politics, di per sè, non ha nulla di sbagliato. Per quanto le lotte sociali possano spesso dimostrare la propria immediatezza, ciò non significa che esse vadano rigettate. Anzi, esse costituiscono sempre l’infrastruttura di partenza per costruire qualsiasi progetto politico di lunga durata. Orizzontalismo, la difesa del locale, le manifestazioni di resistenza, così come proteste, sit-in, scioperi e occupazioni sono tutti elementi importanti che vanno conservati. Utilizzando le parole di Williams e Srnicek, «piuttosto che essere intrinsecamente dannosa, la folk politics andrebbe semplicemente considerata parziale, temporanea e insufficiente».

"Tutta la politica inizia dal locale, certo: ma la folk politics rimane nel locale"- da Inventare il Futuro


La questione della folk politics è dunque un po’ più complessa di come possa apparire. Da una parte infatti, è corretto ammettere che tutta la politica parte sempre dal locale: si interviene su quanto si ha di vicino al fine di cambiare il più ampio sistema in cui si vive, e quella locale è una dimensione che non si può semplicemente respingere. Sulla base di questo, per esempio, è corretto che ognuno ricicli correttamente i propri rifiuti. Si tratta di un comportamento responsabile che occorre favorire e incoraggiare, e per quanto esso si svolga nel locale (appunto, tra le mura di casa propria) non vi è in esso nulla di sbagliato.

Dall’altra parte, quello che si riscontra è che le tendenze della sinistra contemporanea finiscono per essere imprigionate proprio nella dimensione locale da cui partono: ci si riduce a compiere azioni dirette, tangibili ed emotivamente gratificanti, ma non si affronta il grande fardello della costruzione ideologica di un’alternativa che aspiri a conquistare l’egemonia globale. Così, nel nostro esempio, si arriva a credere che la responsabilizzazione degli individui sulla questione ambientale sia un’attività di per sé sufficiente per arrestare l’avvento dell’apocalisse climatica. Ci si dimentica insomma che la lotta, per essere in grado di pervenire a una vera e propria vittoria, deve essere spostata su un piano astratto, globale e universale. Lo stesso piano, appunto, su cui opera il capitalismo.

L’accelerazionismo come rifiuto della folk politics

Cosa fare, dunque? Alla risposta a questa domanda è dedicata la seconda metà di Inventare il futuro. Qui gli accelerazionisti non offrono un manuale completo di task da realizzare per ricostruire l’egemonia della sinistra, quanto piuttosto sono interessati a mostrare i giusti vettori da percorrere per ripensare da zero la lotta contro il Capitale. La necessità che emerge è infatti quella di un nuovo approccio anticapitalista che abbia il coraggio di riformulare in maniera radicale i paradigmi che storicamente contraddistinguono la sinistra marxista. I termini di lotta, le tipologie di azioni, i tipi di narrazione, i percorsi ideologici, i programmi politici e molto altro ancora sono tutti elementi che vanno reinventati come se fosse la prima volta, purché questo consenta una reale vittoria contro il Capitale.

"Dobbiamo insomma cominciare, come se fosse la prima volta, a sviluppare strategie contro un Capitale che si presenta ontologicamente (oltre che geograficamente) obliquo"- da Inventare il Futuro


Il pensiero accelerazionista si pone dunque in completa opposizione a qualsiasi folk politics, poichè intenzionato a “inventare” quegli strumenti che possano ben adattarsi alla natura complessa e iper-astratta di un capitalismo che ormai sfugge alle tradizionali mappe cognitive della sinistra. L’affermazione più esplicita in tal senso si trova all’interno del Manifesto Accelerazionista, laddove si legge: «Crediamo che la distinzione più importante della sinistra di oggi si trovi tra coloro che si attengono ad una politica del senso comune [folk politics] basata su localismo, azione diretta ed inesauribile orizzontalismo e coloro che delineano ciò che deve chiamarsi una politica accelerazionista, a proprio agio con una modernità fatta di astrazione, complessità, globalità e tecnologia».

In termini strategici, il rifiuto di qualsiasi folk politics si traduce in un richiamo ad un nuovo anti-capitalismo astratto, complesso, moderno e globale, che sia capace di riunire sotto un unico ombrello ideologico un ampio pluralismo di forze anti-capitaliste. La frase «siamo tutti accelerazionisti» che costituisce una delle 3 tesi accelerazioniste di Mark Fisher, fa riferimento proprio a questo obiettivo. Ciò si traduce, come sostengono Williams e Srnicek, nella necessità di costruire ponti per dare vita ad una mobilitazione - tanto orizzontalmente plurale quanto verticalmente organizzata - che sia veramente in grado di contrastare la potenza del Capitale neoliberale. Le forze ambientaliste, (xeno)femministe, anticolonialiste, post-lavoriste, così come tutte le realtà sociali, studentesche, intellettuali e ideologiche sono chiamate a costruire un sistema di inter-connessioni che permetta loro di intrecciare le proprie cause e pianificare insieme una lotta efficace. Pianificazione, organizzazione e lungimiranza concettuale sono elementi che non devono essere abbandonati al fine di costruire, anche in un orizzonte temporale molto ampio, un’alternativa veramente possibile al modello unico neoliberale.

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