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25-ottobre-2021
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Breve storia dell'immanenza accelerazionista, secondo Mackay e Avanessian

Di fronte alla veloce produzione di libri, editoriali, meme, dibattiti e polemiche sull’accelerazionismo negli ultimi anni, sembrerebbe di trovarsi di fronte ad una nuova corrente di pensiero. Non è così: l’accelerazionismo può essere definito molto più correttamente come un’immanenza, «un insieme di forze contrastanti, uno spettro multiforme, che aspetta di incarnarsi e gridare il proprio nome», come sostiene Cancelli nella sua opera How to accelerate. Pensare all’accelerazionismo come a un immaginario specifico e già definito - come ad esempio quello, ormai diffuso, di una piena automazione che libererà l’umanità dal giogo del lavoro - sarebbe riduttivo e anche ingiusto. L’accelerazionismo è molto più di questo. Ogni declinazione compiuta di questa forza propulsiva ne sopprimerebbe subito l’essenza, che invece può essere rintracciata in quella continua tensione a liberarsi dal «fango dell’immediatezza»[1], ovvero generare nuovi futuri capaci - come se fossero dotati di una forza magica - di portare la realtà al crollo, di sbarazzarsi del presente per aprire nuovi orizzonti di senso.
 
Ciò significa che ripercorrere la storia dell’accelerazionismo corrisponde ad un’attenta attività di rintracciamento, perlustrazione e ricerca di un’immanenza che attraversa spazio e tempo. Come uno spettro[2] proveniente dal futuro, l’accelerazionismo si manifesta come incarnazione nelle menti degli umani di ogni epoca, risvegliando l’impulso prometeico a disfarsi del presente, a sgretolare l’assolutezza di ogni realismo per spingersi oltre, al di là dei confini. Anche per questo, l’accelerazionismo si presenta spesso (o forse sempre) come una tensione eretica[3]: in quanto eresia, essa disturba alle fondamenta i paradigmi dell’esistente, gettandosi con fede inventiva nell’ignoto di un Fuori oscuro, ma con la carica desiderante di un popolo nomade che non può più sopportare le catene soffocanti del reale in cui vive.
 
Solo riconoscendo l’accelerazionismo come un’immanenza che attraversa la storia, è possibile comprendere la carica letteraria di #ACCELERATE: The Accelerationist Reader, l’opera di antologia accelerazionista scritta da Robin Mackay e Armen Avenessian nel 2014 (e attualmente in corso di traduzione da parte del CNA). I due autori, che contribuirono al dibattito del nascente accelerazionismo di sinistra (L/ACC) nel periodo successivo alla crisi finanziaria del 2008 e fino alla pubblicazione del MAP (Manifesto for an Accelerationist Politics), hanno inteso la ricostruzione del pensiero accelerazionista come un processo di collegamento tra frammenti sparsi nel passato in cui è stato possibile rintracciare la manifestazione di una pulsione a disfarsi del presente e a inventare futuri. Dopo aver identificato questi frammenti di immanenza, Mackay e Avanessian li hanno raccolti in quattro importanti periodi che, dall’800 a oggi, fungono da matrice di lettura di una «forza multiforme» in corso di auto-generazione nella storia. In questo articolo proveremo a sintetizzarne alcuni passaggi.
 
 

Anticipazioni: dal frammento sulle macchine al cosmismo russo

 
Il primo periodo identificato da Mackay e Avanessian raccoglie pulsioni accelerazioniste che si collocano a cavallo tra l’800 e il primissimo ‘900. In particolare è Marx il pensatore accelerazionista per eccellenza. Nel suo celebre Frammento sulle macchine, egli documenta il mutamento dallo stadio in cui il lavoratore usa gli strumenti come delle protesi organiche (che amplificano e incrementano la potenza del lavoro umano) allo stadio in cui emerge un unico sistema automatico di macchine. Nel passaggio verso questo sistema il lavoratore diventa progressivamente lui stesso una protesi, una specie di “organo cosciente” della macchina, assoggettato al suo potere come a un “potere alieno”. Gli individui risultano così incorporati all’interno di una nuova cultura macchinica, e le loro soggettività sono completamente ridefinite come esseri sociali. In ciò sta, secondo Marx, l’essenza del capitalismo: nel rivoluzionare gli strumenti di produzione, causando materialisticamente una rivoluzione di tutti i rapporti sociali. Ma l’atteggiamento di Marx non è di rifiuto, anzi. Egli vede in questo processo lo strumento per costruire il “regno della libertà”: solo attraverso la capacità di rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione - caratteristica portante della nuova era capitalistica - sarà possibile rivoluzionare «tutti i rapporti sociali»[4], fino a uno stadio in cui l’umanità sarà finalmente libera ed emancipata.
 
Un secondo pensatore di cui viene identificata un’immanenza accelerazionista è Nicolai Fedorov, fondatore del cosmismo russo e ideologo ispiratore di quel futurismo comunista che porterà i dirigenti della neo-nata Unione Sovietica ad investire massicciamente nell’esplorazione spaziale. Fondendo pulsioni comuniste a credenze cristiane, Fedorov era convinto che lo scopo ultimo dell’essere umano fosse quello di accelerare il progresso scientifico fino a liberare tutte le infinite possibilità di padronanza sulla natura. Egli riconosce dunque nella scienza lo strumento attraverso il quale gli umani possono riscoprire il proprio ruolo prometeico: affrancandoli dalla natura, il progresso scientifico diventa lo strumento per trasformare gli umani in divinità. Abbandonare il “provinciale” ambiente planetario terrestre per esplorare nuovi mondi è un requisito indispensabile per questa trasformazione, affinché gli umani possano esaudire il proprio destino collettivo che, secondo Fedorov, significa ritrovarsi in un “fine comune”.
 
Con riferimento a questo primo periodo, altri frammenti di immanenza accelerazionista sono rintracciati da Mackay e Avanessian in:
-    Samuel Butler
-    Thorstein Veblen
 
 

Fermenti: la rivoluzione del desiderio

 
Dopo un primo periodo in cui l’immanenza accelerazionista emerge in forma germinale, Mackay e Avanessian identificano una seconda sezione riconducibile prevalentemente alla filosofia francese a cavallo della rivoluzione desiderante del ’68, durante la quale si cercò di integrare un’analisi teoretica dell’economia politica con una visione del desiderio umano concepito come costruzione sociale. Questi pensatorз della “sintesi freudo-marxista”, galvanizzatз dagli ancora incomprensibili eventi del maggio ’68, suggerivano che l’emancipazione dal capitalismo dovesse essere ricercata non attraverso la dialettica, ma attraverso la perversione polimorfa del desiderio liberato dalla stessa macchina capitalista.
 
Deleuze e Guattari, in particolare, rappresentano un passaggio fondamentale, definendo il capitalismo come un movimento contemporaneamente tanto rivoluzionario - decodificante e deterritorializzante - quanto costantemente riterritorializzante e che ristabilisce senza fare differenze i vecchi codici come se fossero delle “neoarcaiche” simulazioni culturali, e ciò per contenere le mutazioni continue che esso stesso rilascia. È dentro questa dinamica che emerge una strategia genuinamente accelerazionista, contenuta in quello che è considerato come il loro celebre “frammento accelerazionista”: l’idea cioè di «non ritirarsi dal processo, ma andare più lontano, per accelerare il processo» di liberazione del flusso della produzione desiderante[5]. Con Deleuze e Guattari, dunque, il desiderio diventa il protagonista della via rivoluzionaria: il motore propulsore per liberarsi dalle catene territorializzanti che vincolano il presente a se stesso.
 
In questa seconda sezione, che si colloca negli anni successivi al 1968, altri frammenti di immanenza accelerazionista sono rintracciati in:
-    Jacques Camatte
-    Jean-François Lyotard
-    Gilles Lipovetsky
-    Shulamith Firestone
-    J. G. Ballard
 
 

Cyberculture: dalla theory fiction all’iperstizione

 
Il terzo periodo identificato da Mackay e Avanessian si colloca in Inghilterra verso la fine degli anni ’90, in concomitanza con il diffondersi della cyberculture, ed emerge compiutamente nell’esperienza della CCRU (Cybernetic Culture Research Unit), un gruppo di ricerca fondato presso l’università di Warwick da Sadie Plant (nota per i suoi contributi al cyberfemminismo) e successivamente diretto da Nick Land. Rispetto all’esperienza francese, da cui la CCRU eredita i principali contributi teorici sul desiderio, questo periodo inglese risulta fortemente segnato dalle influenze farmaco-sensoriali provenienti dalla cultura rave e dalle droghe sintetiche, dalla contemporanea invasione nell’ambiente domestico di nuove tecnologie come videoregistratori, videogiochi, computer, nonché dal rapido diffondersi di una nuova cultura fantascientifica cyberpunk distopica, tra cui vale la pena ricordare la trilogia Neuromante di William Gibson e i film Terminator, Predator e Bladerunner (tutti testi fondamentali per la CCRU). Come aveva previsto Ballard, la fantascienza era diventata l’unico medium in grado di affrontare la realtà disorientante del presente.
 
In questo contesto, l’atmosfera festosa della produzione desiderante immaginata da autori come Deleuze, Guattari, Lyotard e Lipovetsky sparisce sotto il manto di una nuova oscurità. I membri della CCRU prediligono soprattutto le implicazioni più violente del periodo francese, reinterpretandole e virandole verso un anastrofismo antiumanista. Il processo di liberazione dei flussi viene accelerato oltre i confini della soggettività umana, propagandone la sua integrazione all’interno della meccanosfera e individuando nell’alienazione radicale l’unica via di fuga possibile. Nella visione di Nick Land, che successivamente devierà verso soluzioni turbo-fasciste che lo porteranno a scrivere nel 2012 il Manifesto per un nuovo illuminismo oscuro, il capitalismo appare come una futura intelligenza artificiale che crea se stessa nella storia, muovendo come un burattinaio gli umani del passato. Contrariamente a quanto affermavano Deleuze e Guattari, Land riconosce nel capitalismo esclusivamente un’inarrestabile forza deterritorializzante (e non, invece, anche la sua controparte territorializzante), il cui esito non può che essere la decodifica della stessa soggettività umana, la sua alienazione nell’apparato macchinino capitalistico, fino alla vittoria di una nuova specie: un’intelligenza artificiale postumana.
 
Trascurando gli esiti fortemente reazionari di questo periodo, attraverso la CCRU l’immanenza accelerazionista si arricchisce con lo sviluppo del concetto di iperstizione: si tratta di uno dispositivo speculativo sulla realtà che, intercettando il desiderio e codificandolo in immaginari futuri, realizza una trasformazione effettiva del movimento storico trainando il presente verso il futuro. Il concetto di iperstizione riconosce che la realtà è una costruzione sociale di senso, e rompe per questo la linearità passato-presente-futuro con la quale viene comunemente percepito il tempo, prediligendo invece un rapporto dialogico continuo tra presente e futuro, e tra futuro e presente. L’iperstizione infatti agisce sia come finzione prodotta nel presente e capace di trainare la storia verso un determinato futuro; sia come un futuro già predeterminato che si manifesta nel presente nella forma di profezia. La CCRU sviluppò profondamente questo concetto, facendone piena esperienza attraverso pratiche esoteriche e magiche, la costruzione di ritualismi, l’utilizzo di droghe sintetiche per esacerbare la percezione sensoriale, nonché l’utilizzo della cultura fantascientifica distopica per interpretare nuovi sviluppi del percorso storico.
 
 

Accelerazione: il Manifesto per una Politica Accelerazionista

 
La quarta e ultima sezione identificata da Mackay e Avanessian fa riferimento al periodo odierno, ed è mediato dall’esperienza di Mark Fisher, allievo di Nick Land ed ex membro della CCRU. Nel 2003 Fisher fonda il blog K-Punk, dove comincia a scrivere di critica culturale. Temperando le tendenze anarchiche del periodo francese con la necessità di una riappropriazione dell’infrastruttura sociotecnologica e della progettazione di piattaforme economiche post-capitalistiche, Fisher dà avvio a un discorso politico che progressivamente trasforma l’antiumanesimo dell’era della cybercultura in un umanesimo prometeico che ritrova le proprie radici in personaggi come Marx e Fedorov. Nel 2009 pubblica Realismo capitalista, dove con severità denuncia l’incapacità della sinistra contemporanea di disfarsi del presente, intrappolata nell’iperstizione thatcheriana secondo cui non ci sarebbe alcuna alternativa valida al capitalismo. Successivamente, anche a seguito delle esperienze di militanza successive alla crisi finanziaria del 2008 (in particolare Occupy Wall Street), Fisher partecipa a un lungo dibattito politico che porta nel 2013 alla scrittura del Manifesto per una politica accelerazionista (MAP) da parte di Alex Williams e Nick Srnicek.
 
In tale configurazione, l’accelerazionismo di sinistra (L/ACC) si presenta come una forza multiforme che si scaglia contro la tendenza della sinistra contemporanea a preferire piccole vittorie locali alla costruzione di un’egemonia globale, astratta e universale. Il desiderio ormai insopprimibile di disfarsi di un presente intrappolato nel realismo capitalista conduce ad una riarticolazione radicale dei paradigmi marxisti tradizionali, nonché delle pratiche di militanza, dei linguaggi e delle strategie necessarie per la costruzione del potere. Il Manifesto accelerazionista impone una cesura: da una parte la folk politics, intesa come prassi incapace di produrre risultati efficaci nella liberazione dal presente capitalista; dall’altra la politica accelerazionista, rivendicando così nel termine “accelerazionista” tutte le forze dotate della capacità di inventare futuri e di muovere, con efficacia, il presente verso quelle direzioni. In questo senso, data la natura complessa dei meccanismi di potere nel tardo capitalismo neoliberale, la politica accelerazionista viene identificata come una politica capace di navigare con successo nella complessità dell’esistente.
 
Il dibattito che si sviluppa attorno alla pubblicazione del MAP viene ripercorso da Mackay e Avanessian, coinvolgendo i seguenti autori/trici:
-    Antonio Negri
-    Tiziana Terranova
-    Luciana Parisi
-    Reza Negarestani
-    Benedict Singleton
-    Ray Brassier
-    Patricia Reed
 
 

Conclusione: gli sviluppi successivi al 2014

 
L’opera di Mackay e Avanessian si ferma al 2014. Non intercetta, dunque, gli sviluppi successivi, in particolare la pubblicazione di Inventare il futuro: per un mondo senza lavoro, scritto nel 2015 dagli stessi autori del MAP e di cui rappresenta un completamento. Da intendere come un manuale di strategia rivoluzionaria, quest’opera presenta un progetto di costruzione del postcapitalismo fondato sul paradigma del postlavorismo. Come recita il MAP, «tutti vogliamo lavorare meno» è il vettore desiderante capace di intercettare il sentire collettivo, ed ha la forza di costruire una nuova mobilitazione rivoluzionaria di carattere globale capace di porre fine, una volta e per sempre, al modo di produzione capitalista. Per realizzare questo progetto diventano cruciali alcuni dispositivi, il primo dei quali è la riappropriazione del futuro inteso come spazio politico su cui costruire iperstizioni di carattere prometeico.
 
Un secondo contributo che l’opera di Mackay e Avanessian non ha potuto intercettare è il Manifesto Xenofemminista: una politica per l’alienazione, scritto nel 2015 dal collettivo Laboria Cuboniks e completato nel 2018 nell’opera Xenofemminismo di Helen Hester. Articolato in 20 punti - dalla critica alla macchina capitalista e alla sinistra classica, passando per l’egemonia culturale e politica, fino all’universalismo intersezionale e al tema centrale della riproduzione biologica e sociale - il manifesto propone lo xenofemminismo come «politica di genere radicale adeguata ad un’epoca di globalità, complessità e tecnologia», fondata su una prospettiva antinaturalista, tecnomaterialista e abolizionista di genere. Di indubbia vocazione accelerazionista, il Manifesto Xenofemminista non ne rappresenta tuttavia la mera componente femminista. Al contrario, il manifesto insorge in risposta alla totale assenza di riflessione sul lavoro riproduttivo, di cura e domestico - rigorosamente non retribuito - nell’opera di Williams e Srnicek, nella quale mancano del tutto anche accenni alle istanze delle persone queer, trans, sex workers, disabili, soggetti non conformi.
 
Un terzo contributo si può rintracciare nel Gender Accelerationist Manifesto (attualmente in corso di traduzione da parte del CNA), scritto nel 2018 da Vikky Storm e Eme Flores. Il desiderio rivoluzionario di disfarsi del presente distopico patriarcale chiama ad una radicalizzazione della pratica femminista, esortando all’accelerazione della morte del genere mediante un terrore fucsia da scagliare contro le istituzioni del patriarcato. Dittatura queer, milizie armate e vittoria a tutti i costi sono alcune delle parole chiave di questo manifesto che identifica nella violenza e nel terrore gli strumenti estremi per accelerare la fine di un sistema, quello patriarcale, che proprio sulla violenza e sul terrore edifica il proprio dominio.
 
Infine, concludendo questa breve panoramica di alcuni dei più noti contributi accelerazionisti nel periodo successivo al 2014, nel 2019 Aaron Bastani scrive Fully Automated Luxury Communism. A Manifesto, che presenta una ricostruzione ricca di dati delle potenzialità del progresso tecnologico nell'automazione, nell'energia, nelle risorse, nella salute e nella sostenibilità. Nel mezzo di quella terza "rottura" nella storia dell'umanità che, dopo la rivoluzione dell'agricoltura e di quella industriale, ci proietta verso un'era di post-scarsità, Bastani delinea un futuro fondato sulla centralità degli UBS (universal basic services): di fatto, un’era della totale gratuità, un lusso comune pienamente automatizzato, postcapitalista e postlavorista.
 
 
[1] Laboria Cuboniks, Xenofemminismo. Una politica per l’alienazione, 2015, www.laboriacuboniks.net/manifesto/xenofeminismo-una-politica-per-lalienazione/
 
[2] «Uno spettro si aggira per l’internet: lo spettro dell’accelerazionismo» è la celebre frase che accompagna il rapido diffondersi dell’accelerazionismo in tutti gli angoli più remoti dell’internet.
 
[3] «Accelerationism is a political heresy: the insistence that the only radical political response to capitalism is not to protest, disrupt or critique, nor to wait its demise at the hands of its own contradictions, but to accelerate its uprooting, alienating, decoding, abstractive tendencies» Robin Mackay, Armen Avanessian, #Accelerate: The Accelerationist Reader, Urbanomic, Farmouth, 2014, p. 4
 
[4] Karl Marx, Friedrich Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, 1848.
 
[5] G. Deleuze, F. Guattari, Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 1975, p. 272
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