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19-agosto-2025
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Mark Fisher e l'accelerazionismo di sinistra in Italia

L’accelerazionismo è una corrente di pensiero complessa e molteplice, la cui origine affonda le radici nei luoghi più bizzarri e sperimentali dell’internet degli anni ’90, sviluppandosi attraverso percorsi eterogenei e talvolta contraddittori. Nato come forma di critica alla modernità capitalista, l’accelerazionismo ha dato vita a svariate declinazioni orientate sia a spingere il capitalismo oltre i suoi limiti interni fino al collasso, sia a immaginare strategie di superamento e trasformazione del sistema. È in questo orizzonte che prende forma l’accelerazionismo di sinistra, un pensiero che approda in Italia nella seconda metà degli anni Dieci del XXI secolo grazie soprattutto alla diffusione e alla ricezione del lavoro di Mark Fisher.

Figura cardine del pensiero critico contemporaneo, Mark Fisher ha rappresentato la vera forza propulsiva dell’accelerazionismo di sinistra prima in ambito anglosassone, poi in Italia, contribuendo in modo determinante alla sua elaborazione teorica e alla sua successiva propagazione internazionale. Già membro della CCRU, la Cybernetic Culture Research Unit fondata all’interno dell’Università di Warwick negli anni ’90, Fisher ha preso parte fin dai primi momenti a un ambiente intellettuale che ha sperimentato forme ibride di pensiero tra teoria culturale, postmodernismo e filosofia della tecnologia, in un contesto di radicalità teorica che ha influenzato l’origine dell’accelerazionismo di sinistra.

Nel 2003 apre il suo blog k-punk, un laboratorio di scrittura teorica e critica culturale che ha segnato un’intera generazione. In quei testi, Fisher unisce la lucidità analitica del pensatore marxista alla sensibilità del raver underground, all’interno di uno stile comunicativo che mescola riferimenti alla cultura pop, alla musica elettronica, al cinema, con acute riflessioni sul disagio psichico e le dinamiche del capitalismo neoliberale. La forza di Fisher risiede non solo nella profondità del suo pensiero, ma anche nella sua capacità empatica di parlare direttamente a chi si sente alienata, disilluso, impotente di fronte alla pervasività del sistema economico vigente. La sua scrittura, collocata nel solco della teoria critica postmoderna, si accosta a figure come David Harvey e Fredric Jameson, ma se ne distingue per una qualità immaginativa capace di rendere tangibili le forme della sofferenza contemporanea.

Con la crisi finanziaria del 2008, il pensiero di Fisher entra in risonanza con una nuova stagione di riflessione politica che mette in discussione l'efficacia delle strategie della sinistra tradizionale. In questo contesto, prende forma il cosiddetto Left Accelerationism (L/ACC), di cui sono esponenti centrali Alex Williams e Nick Srnicek, allievi del filosofo Ray Brassier, a sua volta collega di Fisher ai tempi della CCRU. Nel 2013, Williams e Srnicek pubblicano il Manifesto per una politica accelerazionista e, due anni più tardi, Inventare il futuro, opere che propongono una visione della sinistra capace di appropriarsi delle forze produttive del capitalismo per costruire un progetto prometeico fondato sull’abbondanza comune, la piena automazione e il tempo libero. Queste proposte sorgono all’interno di un dibattito politico-accademico che si svolge tra il 2010 e il 2013, durante il quale vengono messe a critica le forme di attivismo orizzontale e localista che avevano caratterizzato movimenti come Occupy Wall Street: un’ondata globale e anticapitalista, certamente potente nella sua capacità di mobilitazione, ma inefficace sul piano della trasformazione sistemica, lasciando spazio alla ristrutturazione neoliberale e, successivamente, a nuove derive autoritarie e neofasciste.

Fisher partecipa a questo dibattito in modo particolare, da una parte senza allinearsi alle pulsioni razionaliste di Williams e Srnicek, dall'altra muovendo assieme a loro una critica profonda alla sinistra radicale contemporanea, accusata di chiudersi in una spirale autoreferenziale e moralista, incapace di parlare al desiderio e di produrre immaginari alternativi. Nel suo saggio Uscire dal Castello dei Vampiri del 2013, denuncia le dinamiche distruttive interne ai movimenti militanti, in cui il giudizio e la competizione identitaria prevalgono sulla costruzione di orizzonti comuni. Il “castello”, abitato da militanti che si succhiano il sangue a vicenda, è metafora della sinistra che si ripiega su se stessa, mentre all’esterno il capitalismo continua a espandersi.

Fisher individua proprio nella categoria del desiderio il nodo strategico di una rinascita politica della sinistra: mentre il neoliberismo è riuscito, dal ’68 in poi, a presentarsi come forza desiderabile e libidinale, la sinistra è rimasta imprigionata in posture colpevolizzanti, pauperiste, incapaci di proporre visioni affascinanti del futuro. È qui che l’accelerazionismo di sinistra assume la sua carica più radicale: si tratta di riconfigurare il desiderio, di trasformarlo in forza politica, di costruire un nuovo progetto prometeico comunista in grado di farsi carico delle possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico e dall’abbondanza già oggi disponibile.

L’eco del pensiero di Ray Brassier, che definisce la sua filosofia “prometeica”, risuona chiaramente nelle riflessioni di Fisher, il quale, nel 2015, partecipa a una Conversazione sul comunismo di lusso con l’antropologa Judy Thorne presso la Goldsmiths University of London. In quell’occasione, entrambi riflettono sulla necessità di liberare il comunismo dall’aura ascetica e penitenziale che lo accompagna, per restituirgli una dimensione utopica e desiderabile, capace di competere immaginativamente con le promesse seduttive del capitalismo.

Mark Fisher muore nel gennaio del 2017, lasciando incompiute due opere fondamentali: il seminario Desiderio postcapitalista, poi pubblicato postumo, nel quale portava avanti assieme alle sue studentx la riflessione sul desiderio come motore di un nuovo immaginario politico, e il progetto Acid Communism, un tentativo di esplorare il potenziale rivoluzionario della psichedelia e della coscienza espansa come strumenti per forzare le gabbie della realtà neoliberale.

È a partire dalla sua morte che il pensiero di Fisher inizia a propagarsi con forza crescente, soprattutto in Italia, dove viene per la prima volta tradotto nel 2018 grazie alla casa editrice NERO. La pubblicazione di Realismo capitalista, già scritto nel 2007, segna un momento cruciale: l’opera, una raccolta di testi originariamente comparsi su k-punk e poi ripresentati in maniera organica, ottiene un successo immediato nel nostro Paese e diventa un riferimento per una nuova generazione di attivistx, studentx e intellettuali. La sua diffusione si concentra in particolare negli ambienti della sinistra radicale giovanile, colpiti dalla capacità di Fisher di nominare e analizzare lo smarrimento e la depressione che segnano il presente. Successivamente, anche grazie all’opera della casa editrice Minimum Fax, viene intrapreso un sistematico recupero e traduzione di tutti i suoi scritti.

Il contesto italiano in cui arriva Fisher, tuttavia, è particolarmente singolare. Già tra il 2015 e il 2016, ben prima della pubblicazione in italiano di Realismo capitalista, il pensiero accelerazionista di sinistra iniziava a circolare anche in Italia, ma in forme inedite e sotterranee. Non giunge attraverso le classiche vie accademiche o editoriali, bensì si diffonde nelle pieghe della rete, all’interno di comunità digitali, gruppi Facebook e pagine memetiche che iniziano a sperimentare nuove modalità di comunicazione politica. Un ruolo cruciale in questa prima diffusione è giocato dal gruppo “Sinistra Libro”, ispirato al LeftBook inglese, che per un certo periodo raccoglie alcune tra le più vivaci discussioni della plurichiamata xenoleft italiana.

È in questo contesto che l’accelerazionismo si presenta non come teoria, ma come sentimento: si diffonde come una vibrazione comune, un’intuizione condivisa, una sensibilità diffusa verso la possibilità di una politica desiderante che sia capace di immaginare il superamento del lavoro obbligatorio, l’espansione del tempo libero, la piena automazione, la redistribuzione dell’abbondanza. Temi come il comunismo del lusso, il reddito universale, la gratuità, il superamento dell’austerità e della scarsità, iniziano a circolare attraverso una gigantesca operazione di propaganda memetica, in cui immagini, slogan e provocazioni estetiche fungono da vettori per una trasformazione lenta ma radicale dell’immaginario politico.

Molte di queste prime espressioni sono ancora oggi veicolate da pagine come “Automatizzato Comunismo Memetico”, veri e propri laboratori estetici di un accelerazionismo senza testi teorici di riferimento, e dove le idee vengono fatte circolare più attraverso la suggestione che l’argomentazione, più tramite l’evocazione che l’analisi. È questo il terreno su cui si innesta la diffusione di Mark Fisher: un pensatore che parla esattamente il linguaggio di questa nuova sensibilità, e che per molti diventa un punto di riferimento ben prima che ne venga colto il valore all’interno della genealogia accelerazionista.

Curiosamente, infatti, Fisher in Italia non viene immediatamente riconosciuto come figura centrale dell’accelerazionismo di sinistra. Anzi, la sua fortuna è legata a un’altra traiettoria: quella di una generazione attraversata da un senso di impotenza, esaurimento e angoscia, che trova nei suoi scritti una voce capace di nominare le proprie ferite. Il successo di Realismo capitalista è dovuto non tanto all’esattezza del suo impianto teorico, quanto alla sua potenza espressiva, alla sua empatia analitica, alla sua capacità di raccontare l’irraccontabile disagio esistenziale della vita sotto il neoliberismo. Fisher viene letto perché dà voce a un senso comune profondo, a una percezione diffusa di soffocamento, di frustrazione, di esistenza spogliata di senso e futuro.

In Italia, più che altrove, questa ricezione si trasforma in identificazione. Fisher diventa il compagno di un’intera generazione, colui che, mentre ci parla della necessità di politicizzare la nostra depressione, si toglie la vita. La sua tragedia personale risuona come uno specchio crudele delle nostre vite, eppure al tempo stesso come una chiamata alla responsabilità collettiva di non arrendersi all’orrore quotidiano che ci viene presentato come normalità. È proprio questa ambivalenza, tra il dolore e la possibilità, tra la sconfitta e la speranza, che rende Fisher così centrale nella configurazione dell’accelerazionismo di sinistra in Italia.

A differenza del contesto britannico, dove l’accelerazionismo è spesso declinato secondo coordinate razionaliste, influenzate dalla filosofia analitica e da progetti come il Fully Automated Luxury Communism di Aaron Bastani, in Italia si radica piuttosto come orizzonte estetico e sensibile, come spinta libidinale e desiderante. L’accelerazionismo italiano è meno un piano programmatico e più una vibrazione diffusa, una forma di vita che comincia a prendere coscienza di sé, un desiderio che torna a politicizzarsi attraverso la cultura, l’immaginazione e la condivisione di sogni comuni. È in questo quadro che la centralità di Fisher si impone come una guida teorica e affettiva.

Lungi dall’essere una proposta compiuta o una dottrina strutturata, l’accelerazionismo di sinistra in Italia si configura come un’operazione culturale che cerca di trasformare il senso comune a partire da un nucleo profondamente fisheriano: riportare il desiderio al centro della politica. Un desiderio che non è astratto, ma legato alla concretezza della vita quotidiana, alla fatica del lavoro, alla mancanza di tempo, alla solitudine, al bisogno di solidarietà, cura, tempo libero, gioia. In questo senso, Fisher riattiva in Italia una tradizione interrotta: quella rivoluzione libidinale che, negli anni ’70, aveva trovato qui una delle sue espressioni più radicali, e che oggi sembra cercare nuove forme per completarsi.

La figura di Fisher, postmoderna nella forma e nella sostanza, rappresenta al tempo stesso il punto di esaurimento e la possibilità di superamento della postmodernità. È l’ultimo dei postmoderni, colui che porta fino in fondo la diagnosi della paralisi immaginativa indotta dal realismo capitalista, ma che al tempo stesso fornisce gli strumenti critici per uscirne. La sua proposta non è una semplice restaurazione ideologica, ma una chiamata prometeica alla costruzione di un nuovo mondo: un mondo in cui il desiderio non sia più manipolato per alimentare la produzione, ma liberato per inventare forme di vita in comune.

Fisher è molto più di quanto oggi possiamo ancora comprendere. La sua opera, diffusa attraverso blog, saggi, meme e pratiche di vita, sta già modificando in profondità la nostra coscienza collettiva. Mettendo al centro il desiderio, sta aprendo uno spazio possibile per l’immaginazione politica nel XXI secolo. Sta contribuendo, silenziosamente ma con forza, a costruire le condizioni di possibilità per una nuova sinistra, finalmente capace di pensare non solo a come sopravvivere, ma a come vivere. E vivere bene.


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