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T 8'
r/ANTIWORK: sunto del primo circolo dopo tanto tempo
È stato il primo momento di circolo insieme da quando li facevamo nei salotti delle case a Bologna prima del Covid. Eravamo su jitsi, a un certo punto siamo arrivat3 a essere anche in 18, alcun3 con la videocamera accesa, altr3 nascost3, ognun4 secondo i propri desideri. Ha iniziato nat presentando il tema della serata: r/Antiwork, il subreddit che ha spopolato negli USA. Uno spazio dell’internet in cui si condivide il proprio antilavorismo furioso, che nel giro di pochi mesi è passato da poche decine di migliaia a più di un milione e mezzo di utenti, fungendo da ispirazione per un’onda di dimissioni di massa nel cuore del capitalismo occidentale. Nat ci spiega la storia di Kellogs: praticamente la multinazionale di cereali decide di licenziare di botto un casino di operai4, 3 qual3 allora si organizzano e in circa 1500 scioperano. Scioperano, negli USA, il regno del capitalismo dove il diritto allo sciopero non è mai esistito. Come risposta, Kellogs licenzia tutt3 l3 scioperanti e apre delle posizioni per sostituirl3. Su r/Antiwork la notizia si diffonde, ci si organizza spontaneamente, e rizomaticamente dal basso si decide di fare bombing alle application di Kellogs. Migliaia di richieste di lavoro vengono inviate a Kellogs solo per intasarla e impedire qualsiasi nuova assunzione. A un certo punto cominciano ad hackerare e le application diventano decine di migliaia.
Kellogs è il racconto di apertura di questo nostro (nuovo) primo momento di circolo nomade accelerazionista. Più di metà delle persone sono nuove, ci fa stra piacere. Mauvrp interviene e chiede se questa capacità di organizzazione che nasce rizomaticamente dal virtuale e riesce ad investire il reale sia solo una contingenza dovuta al fatto che siamo tutt3 costrett3 a rimanere in spazi virtuali, in questo periodo storico. 3erzite rilancia l’analisi sviluppandola su 3 punti:
punto 1) riconosciamo che queste lotte sono tutte estemporanee. Nascono oggi, il capitalismo si ristruttura, e finiscono domani. Ma se è sempre così, allora dovremmo abbandonare l’idea che queste pratiche diventino sistemiche. Forse le lotte estemporanee devono rimanere estemporanee, semoventi, nomadi, per essere efficaci, perché se il sistema ogni volta si adatta alle lotte, allora ale lotte devono continuamente essere reinventate.
punto 2) posto che una massa può sempre essere in grado di inceppare un sistema, posto che l’azione di boicottaggio sia sempre possibile, interroghiamoci: questo meccanismo può essere utilizzato anche da chi difende le strutture capitalistiche e patriarcali di potere?
punto 3) parliamo di lavoro: perché condannare il lavoro a tutti i costi? Alla fine non si tratta di essere contro il lavorare. Siamo contro lo sfruttamento, sì, contro il pluslavoro, contro il plusvalore, contro il tempo passato a fare qualcosa che non amiamo, ma il lavoro è pur sempre attività umana. Perché non poter semplicemente dire che siamo contro il lavoro salariato, per un lavoro libero?
Più persone raccolgono la provocazione, un po’ si passa da un punto all’altro. Parlare di strategia sembra eccitante. Gelmit rilancia sul punto 3: lo stesso Marx nei Manoscritti diceva «che cos’è il lavoro se non l’attività umana?». xndb dice: lasciamo questa parola al capitalismo. Uccidiamola, e facciamo che rinasca dopo la sua morte. 3erzite però si interroga, effettivamente, sul limite di un linguaggio che non ha una parola capace di descrivere quello che noi intendiamo. Con quale verbo? Con quale termine descrivere una vita passata a svolgere le nostre attività di vita in piena libertà, liber3 dalla necessità? Nat risponde: la nostra parola è VIVERE! xndb: POSTLAVORARE!
Parla egolep: il problema è che utilizziamo la parola “lavoro” senza alcun tipo di filtro. Sia lavoro inteso come attività umana cioè produzione desiderante. E sia lavoro come ricatto per sopravvivere e per….Aspetta. Però il ricatto del lavoro va ben oltre la questione del plusvalore, secondo me. Davvero io, mi chiedo, se ricevessi adeguatamente i frutti del mio lavoro, amerei comunque fare il mio lavoro? Ammettiamo anche che il mio compenso sia davvero commisurato al mio sforzo, davvero desidererei comunque fare quel lavoro? Nat risponde: il nostro obiettivo è arrivare al punto in cui il concetto stesso di lavoro non esiste più. In cui fai solo ciò che ti piace, e non esiste più differenza tra lavoro e non lavoro perché tutta la vita è dedicarsi alle attività che amiamo.
Nat ritorna sul primo punto: il supporto alla lotta contro Kellogs è un’azione estemporanea, sì, ma dobbiamo ricordare che il subreddit Antiwork è una piattaforma. Funge da base. L’azione estemporanea è passeggera, ma avviene sopra una base, e quella base rimane. Funge da base per ulteriori azioni.
A questo punto partono pulsioni utopiche. Dentro di noi stiamo sognando. RO prende la parola: non dovrebbe mai esistere lavoro statico, sempre uguale, sempre necessario. Dovrebbe essere totalmente abolito. E con la tecnologizzazione della società possiamo permettere a tutte le persone di coltivare delle passioni che manco conosciamo, che magari mai abbiamo scoperto prima. Nemmeno sappiamo quale potrebbe essere il nostro vero lavoro, per colpa del lavoro.
Pensiamo alla scuola. Qualcun4 durante il momento di circolo ha detto che la scuola sembra un po’ un carcere. Davvero nessun4 si ricorda chi sia stat4 a dirlo. Effettivamente la scuola è strutturata proprio in modo da prepararci alla settimana lavorativa.
Pensiamo all’alberghiero. Anni di indottrinamento a insegnarti cosa puoi dire e cosa non puoi dire, mentre servi qualcun altro. Qualcun4 propone: ABOLIRE L’ALBERGHIERO.
E a questo punto nessun4 si ricorda più perché si stesse parlando di Antiwork. L’argomento è la scuola. Si parla solo di scuola. D’altronde “scuola” in greco significa tempo libero, ozio. Inizia una decostruzione utopica della scuola super sognante. Il presente non esiste più. Sarebbe bello se la scuola fosse uno spazio dove gli studenti cazzeggiano e gli insegnanti cazzeggiano con loro. Dove si sta insieme e basta. E le cose non vengono insegnate come in carcere, in una caserma coi banchi e le file, ma raccontate come delle storie, personali, ricostruendo quel rapporto sciamanico per cui l’informazione passa meglio se è raccontata personalmente, intimamente.
Stare insieme, vivere insieme. Immaginare di abolire tutti gli indirizzi. O forse di moltiplicarli fino a farli crollare di significato, come insegna il paradosso accelerazionista. Oppure salvare il classico, ma forse non siamo d’accordo su questo. La verità è che l’indirizzo non conta nulla, bisogna rivoluzionare TUTTO. D’altronde non siamo materie, qualcun4 ha detto che non siamo calcestruzzo, e stai attento che se poi continui a ripeterlo finisce che lo studente inizia a crederci. È un problema. Tutto questo mondo è un problema. Va cambiato tutto, bisogna SOGNARLO.
E poi fellow jitser ci ricorda una frase che è stata detta. Ha preso appunti. La frase era: “in una società gli spazi si creano nei vuoti dello spazio costituito”. E viene da aggiungere: quanto si sente l’urgenza dei nostri bisogni? DICO: dobbiamo partire da qualcosa che ci serve. Dobbiamo partire dai nostri bisogni. Forse quello che manca, a prescindere dalla collocazione lavorativa che abbiamo, è un approccio che sia rivolto intimamente al nostro sentire. Abbiamo finito per normalizzare il dolore, per non sentire la nostra sofferenza. Ci siamo dimenticat4 che stiamo soffrendo, dov’è il nostro desiderio?
Sono passate due ore, interventi di conclusione. Ci ringraziamo. È stato bello. Magari per qualcun4 no, chi lo sa. Non importa. Però a noi del CNA ci è piaciuto. Ecco questo è il nostro link di telegram, entrate anche voi e stiamo insieme. Magari il prossimo incontro lo facciamo il 28 dicembre e parliamo di immaginare il futuro.